tour di decodifica del silenzio nei luoghi sublimi del Parco
da domenica 4 a martedì 6 settembre 2011 ho compiuto una visita del Parco,
accompagnato da Pasquale Persico nel ruolo guida positiva ai luoghi remoti
dell’esperienza recente. Con noi erano anche Pasquale Napolitano nel ruolo
di documentarista attento e Amedeo Trezza, come Claudia D’Angelo del Casale
Il Sughero di Vibonati, conoscitori militanti. Altre persone hanno condiviso
con noi parti della visita; in comune a tutti l’amore per il territorio.
Questi i ricordi e i pensieri, freschi di qualche giorno, e le
considerazioni rese inevitabili dalle premesse.
“Il tempo d’esecuzione della musica varia in relazione all’ambiente.”
Sergiu Celibidache
L’ambiente Parco è al di fuori del consueto come dell’immaginato; la
relazione con esso è libera dalle consuete costrizioni che lo spazio
dedicato pone all’esecutore, ma allo stesso tempo costringe ad una sincerità
assoluta. Umiltà estrema scevra da modestia, perché nulla del Parco è
modesto. Bovino tra i bovini, masso tra i massi, acqua nell’acqua padrona
sublime del ciclo della vita e metafora delle ere dell’arte.
L’esecuzione è continua, il tempo ride, la musica gioca bambina.
Come evitare l’equivoco musicale?
Come suscitare un’idea musicale negando l’intenzione creativa?
Dove il dubbio diviene spazio aperto, pagina da leggere, sintonizzazione da
affinare?
Esattamente dove il dubbio diviene spazio aperto, pagina da leggere,
sintonizzazione da affinare, e si spoglia dell’angoscia per vestirsi di
voglia.
Un Concerto - Concetto Aleatorio. Un pretesto precompositivo paradigmatico.
Il paradigma c’aspettava sereno, come al qualsiasi; la composizione era
scritta sull’acqua, e la si eseguiva convinti come zingari ad un battesimo
infinito.
Il concerto era infine reale.
Il silenzio pieno, la mancanza appagante, il neutro che diviene luce,
colore, odore ed infine suono; la non intenzionalità del gesto musicale fino
alla sua assenza ci mostra l’evidente negato: il non udito.
Nel non udito c’è il senso dello stare.
Il Monte Cervati è il luogo, la presenza, l’essenza e l’identità del Parco.
Compone partiture d’acqua che mostra all’umile. Egli così comunica con
l’area ampia dei monti e delle valli sino al mare. Quindi è Il luogo, la
parte in causa e la partitura.
L’ascoltatore è nella notazione, inserito nel suo proprio ascolto. Egli
seguirà il proprio orecchio teso, e come cacciatore antico misurerà il
proprio cuore con l’evidenza.
Lo statico appare in movimento; il momento non è perduto ma è ciò che
ciclicamente è avvenuto e avverrà.
L’attesa è un volano lento e cieco. Come la montagna è parte di un corpo
sferico in larghissimo e sereno movimento. Il Monte Cervati permette di
cogliere ritmicamente e compiutamente questo volume non mensurabile,
ponendosi in continua ripetizione di se stesso nel tempo, con variazioni sul
tema, ciaccone, bassi di follia ostinati, ipnotici e rigeneranti.
Pasquale e Guida parlerebbe di resilienza.
La mancanza permette l’affermazione del bisogno; il luogo la sua
soddisfazione, in quanto la soddisfazione proviene dalla completezza, che
alimenta anche l’utilità nella vita salvandola dall’angoscia. Il luogo è,
completo e accogliente. In esso il bisogno s’ammansa fino alla dimenticanza
della mancanza ed alla sua trasformazione in desiderio.
A questo punto il vuoto d’ascolto diviene libertà e non spaventa; al
contrario rinfranca, ridimensiona e stabilisce profondità e nuovi
chiaroscuri emozionali, come l’eco gentile e utile al pastore come al
musico.
Una tavolozza di colori umani ci aiuta a Deludere l’aspettativa, ad uscire
dalle galere emotive, dai recinti della consolazione, piegando ad una ad una
le sbarre create dalle false identificazioni.
Ma senza pompa che la verità è semplice.
Nello stesso modo si potranno Eludere gli schematismi apparentemente
soggettivi, che c’illudono d’appartenenza, e le mercificazioni dei parametri
sensibili, che ci rendono creduloni delle stanche magie che stregoni
malandrini confezionano con perfetto mestiere, ma senza talento e,
soprattutto, senza fede.
Quindi s’impara ad Evitare le predeterminazioni, le scelte illusorie
offerteci dai solidi e soliti processi creativi che conducono ad esiti
scontati; con i piedi sulla roccia viva e morta e il cuore nel cosmo si può
vivere l’indeterminatezza a partire dal suono che non imita ma è.
Infine che non allude, ma esprime.
Che non lusinga, che la lusinga è paura di noi stessi, squallido riparo a
proteggerci dal vero amore, ipocrisia per non vedere il desiderio e il
bisogno.
L’ascolto è divenuto accettazione anche di se; finalmente, noi ascoltiamo
noi stessi che ascoltiamo, in un confronto di riflessi che non si specchiano
ma dialogano per una comprensione ricca di compassione.
L’ascoltatore è l’artista del suo ascolto; il compositore evita il
controllo, l’organizzazione dell’evento auditivo, il dominio del gioco
emotivo. Egli, ricco di compassione, ascolta a sua volta, e grazie alla sua
esperienza mostra le vie del suono d’acqua. Il suo ruolo è subalterno,
d’ascolto passivo, di servizio, fuggendo la logica intesa come tentativo di
organizzazione dei suoni fino alla rimozione di qualsiasi modello o concetto
di “Idea Musicale”.
Il compositore, l’artista performativo assume così la sua neutralità in
funzione di un ruolo di guida decodificatoria, cercando il neutro anche come
condizione d’inizio del fatto espressivo, ossia il neutro come condizione
del colore – suono, come materia prima dell’ascolto e della decodificazione
uditiva, l’automatismo come mezzo d’accettazione dell’inavvertito.
A mio parere Cage intende Il non suonare come teatro del suono, come sua
ultima rappresentazione, come zero su cui elaborare un neutro.
Personalmente lo ringrazio per restituirmi tutte le possibilità e tutte le
direzioni espressive; grazie a Cage Il neutro diviene 1, 10 o 100,
ripetizione come conseguenza della minima intenzione.
Possiamo ripartire adoperando i principi espressivi in quantità e forme
minimali, pesi del bilancino da farmacista, perché l’organismo è rigenerato
dall’acqua e dalla pietra.
Si possono esprimere fiori del paradiso e piante della vita senza sforzo.
La rinuncia ad una posizione centrale nel processo creativo e il porre il
suono nello spazio creativo neutro sono le chiavi d’ascolto.
L’ascoltatore decide qual è la sua musica, la sua intenzione e il suo
desiderio avvalorano la creazione artistica.
Egli compone e scompone secondo la sua personale formulazione del percepito.
Dal 29 agosto al 18 settembre 2011
Francesco grigolo